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LA LUMACA ITALIANA

L’Italia è il primo paese al mondo per la produzione in allevamento della lumaca da gastronomia Helix. L’elicicoltura (allevamento a ciclo biologico completo) è un’attività ormai diffusa in tutte le regioni e in grado di offrire ai consumatori, durante tutto l’anno più specie di lumache Helix, calibrate, selezionate e perfettamente spurgate.

  • la Lumaca Italiana di allevamento è di gran lunga migliore di quella raccolta allo stato libero sia in Italia che negli altri paesi del mondo (Lumache vive importate)
  • La Lumaca Italiana di allevamento durante i trattamenti specifici di stabulazione e spurgatura ha perduto l’umidità; di conseguenza presenta la resa in cucina più alta.
  • La Lumaca Italiana è garanzia di sanità ed igiene, in quanto si è nutrita esclusivamente di vegetali selezionati ed è stata mantenuta, nei recinti, in condizioni igienico-ambientali controllate.
  • La Lumaca Italiana è raccolta e confezionata secondo un calibro specifico; la sua cottura è quindi più omogenea e più facile.
  • le carni della Lumaca Italiana sono tenere e fragranti, perchè a confronto del ciclo in natura, i tempi di crescita sono più veloci.

PROPRIETA’ ALIMENTARI DELLA LUMACA HELIX

La lumaca Italiana, grazie alla selezione delle razze attuata dagli allevatori e dalla loro organizzazione di categoria (A.N.E.) è oggi un prodotto dietetico.

Si tratta infatti di un mollusco ricco di proteine (13,4%), con una percentuale minima di grassi (1,5%).

Per questo la lumaca si può rapportare al pesce magro. Inoltre la sua carne contiene una grande varietà di sali minerali.

Gli aminoacidi che costituiscono le proteine della sua carne sono rappresentati in grande misura ed in particolare vi compaiono tutti quelli essenziali.

Per quanto riguarda l’apporto calorico, una porzione di lumache senza condimento (es: una dozzina) fornisce poco più di 80 calorie.

Si tratta quindi di un alimento tra i meno calorici.

Dal punto di vista dietetico, possiamo dunque vedere come la lumaca, per tutte queste proprietà, è un alimento che può venire assunto nel trattamento di alcune malattie nei casi di ipertrigliceridemia e iper-colesterolemia, nelle diete dimagranti e così via.

er Pancotto

“Er pane tosto pure è providenza

e nun se butta mai come rifiuto;

e ner momento che te serve aiuto

t’aspetta ar varco, in fanno a la credenza

co la risoluzione pronta, appena

te viè un problema a pranzo oppure a cena.

Abbasta preparaje un connimento

d’ojo d’oliva, assieme a pepe e sale,

pe facce sguazza Vajo in modo tale

che balli er sartarello a foco lento.

E l’ajo frigge, schizza, se fa d’oro,

ma poi s’affoga a mollo ar pommidoro.

E ne lo strazzio d’un calore atroce

la pila bolle e nasce quer sughetto

che aspetta l’acqua pe formà er brodetto

d’ un rosso come er foco che lo coce.

E sopra l’ale der profumo vola”

“er desiderio de peccà de gola.

La lama der cortello giustizziere

intanto affanna, taja, s’affatica;

tanto de crosta e tanto de mollica:

er pane se sparpaja sur tajere.

Un tuffo drento ar brodo: er pane jotto

se gonfia de sapore e fa er pancotto”

 

Estratto di: Malizia, Giuliano. “La cucina romana e ebraico-romanesca.” Newton Compton editori, 2012-08-31. iBooks.

Il materiale potrebbe essere protetto da copyright.

 

Dai un’occhiata a questo libro su iBookstore: https://itunes.apple.com/it/book/la-cucina-romana-e-ebraico/id561428820?mt=11

pancotto

Cucina Turca , serata speciale Lunedì 11 Febbraio

Menù tipico della cucina tradizionale Anatolica.
Serata riservata a clienti ed amici della Trattoria Morgana.
E’ gradita la prenotazione anticipata.

Yaprak sarma – foglia di vite arrotolata su riso turco, uva sultanina e pinoli di Smirne.
Carsaf Boregi – lasagnetta croccante di sfoglia tirata a mano, con spinaci, manzo e noci di Tokat.
Yogurtlu lahana salatasi – crema di yogurt, con verza, mais e noci.
kirmizi Ezme – crema piccante di peperoni rossi, pomodoro, cipolle bianche e aglio con menta.

Zuppe a scelta tra:

Paca – zuppa di testa di Agnello
Mercimek corbasi – Zuppa di lenticchie con limone e menta.

Secondi:

Sis kebab – Kebab arrosto di montone con pilav turco e insalata mista
Tavuklu Tava – Sautè di pollo con peperoni, pomodori, cipolle e funghi su letto di purea di melanzane.
Ayran – bevanda d’accompagnamento a base di yogurt

Dolci:
Kadaif dolma, Seker pari, lokum – E questi non ve li traduco.

Il menu avrà un costo di 27,00 euro a persona bevande escluse.

Sarà possibile degustare alcuni vini Turchi, il tipico liquore Raki, e bere il vero caffè Turco.
Non sarà invece possibile fumare come turchi nel locale.

storia di una Zuppa Inglese

Alla Trattoria Morgana, offriamo tipici in un ambiente familiare, dove ci si può sentire come a casa propria;

Ed i nostri dessert rispecchiano la semplicità del luogo e della cucina.

Ma cosa succede su una coppia di clienti decide di convolare a nozze e festeggiare con pochi intimi in trattoria?

Succede che Noi stravolgiamo la torta da loro scelta: “vestiamo” da cerimonia la zuppa inglese!.

E questa è la fotostoria dell’avvenimento:

Per prima cosa abbiamo preparato 2 bei pan di Spagna rispettivamente da 12 e 8 uova.

(per far si che il pan di Spagna aumenti di volume, io suggerisco di separare gli albumi e montarli a neve con lo zucchero, e la buccia grattucciata del limone con le fruste elettriche o con lo sbattitore. In seguito incorporare man mano la farina setacciata, i tuorli e l’eventuale lievito ed amalgamare lentamente.)

Abbiamo diviso l’impasto su due stampi da forno 46 e 24 cm ed infornato a 180 C° (raccomando di preriscaldare il forno e di disattivare l’eventuale funzione di convezione).

Se tutto va bene ( e perché non dovrebbe?) avrete due alti e soffici basi come queste.

Abbiamo preparato la crema pasticciera (basteranno 6 uova? booh…facciamola con 8 va!) 1 litro e mezzo di latte un cucchiaio di liquore strega per smorzare un poco il sapore dell’uovo 400 grammi di zucchero, buccia di un limone. Ma si! se avanza di sicuro non va buttata.

Nel frattempo che l’abbattitore porti la crema a temperatura ci dividiamo le basi: in tre dischi la grande ed in due la piccola.

Utilizziamo la bagna di Alkermes diluito con acqua (5 piani di Alkermes assoluto credo siano un pochino troppo forti?)

ed incominciamo a farcire di crema con la Sac a Poche.

ricoprendo di gocce di cioccolato fondente ogni strato.

Di norma una zuppa inglese sarebbe terminata con l’aggiunta della panna montata (come quelle che facciamo di solito)

ma in questo caso ci serve “sigillarla” con un poco di crema al burro come nelle più blasonate serie tv di cake design insegnano.

Niente di più semplice: montiamo 250 grammi di burro morbido (lasciatelo fuori dal frigorifero eh! o dovrete metterlo sul termosifone!) e poi aggiungiamo 250 grammi di zucchero a velo. Assaggiatelo…ancora…un pò meglio…com’è? dai su un altro mezzo cucchiaio e sperate di non andare in iperglicemia.

Spalmiamo quindi la crema al burro cercando di spianare bene la superficie superiore e “stuccare” la circonferenza, quindi mettiamo le torte al fresco per far rassodare il “maquillage”.

(abbiamo puntellato la torta inferiore con dei perni di sostegno ad uso alimentare per sorreggere il peso della torta superiore)

Una volta sovrapposte le due torte ben ferme non rimane che ricoprire il tutto con un “telo” di pasta di zucchero steso col mattarello delle fettuccine.

E qui arriva la cattiva notizia…. non abbiamo le foto di questa fase. A preso luce il rullino fotografico?, si sono bruciate in camera oscura?, erano fuori fuoco? No, più semplicemente il mio aiuto-assistente-fotografo-figliolo di 8 anni s’è stufato di scattare le foto e se n’è andato a giocare col computer, sigh!

Comunque riassumendo: pasta di zucchero modellabile (compratevela già fatta che vi conviene) colorante giallo per un effetto beige marmorizzato, zucchero a velo sul piano, stennerello, olio di gomito e pazienza; Spennelliamo la torta con della gelatina per dolci (colla di pesce e acqua) adagiamo la sfoglia sulla stessa e con il fattoapposta lisciamo la pasta sulla torta. (il fattoapposta si chiama smoother).

Teniamo un po’ di pasta, la coloriamo di marrone con il cacao amaro, usiamo le formine di silicone (mi sembra di tornare all’asilo a giocare col pongo) facciamo i fiori il nastrino di perle, le foglie, io mi prendo un Oki che incomincia a farmi male la schiena a forza di star piegato su sti fiori, et voilà…ecco il risultato.

Per essere la prima volta non è male no?

Gli sposi sembrano rimasti contenti! …lui ha un poco l’aria minacciosa….meglio che filo via.

La storia del Kebab – Wired Italia

Alcuni di voi non conoscono il vero Kebab e la sua origine.

Ve lo spiega questo articolo di Wired Italia, io posso solo dirvi la mia esperienza:

Il vero kebab turco non c’entra nulla con quello che si mangia qui, e piango al solo pensare ad un vero Iskender mangiato da Umit Doner….

ecco l’articolo:

Si fa presto a dire Kebab. Ma quanto sappiamo davvero del gomitolo di carne più famoso del mondo, a cui tutti almeno una volta abbiamo ceduto affamate attenzioni? La storia di questo piatto, economico e veloce da consumare (una sorta di analogo mediorientale dell’hamburger da fast food) è ricca di leggende. Il suo successo è tale da aver letteralmente invaso l’Europa e poi il mondo intero. Cerchiamo di capire cosa si nasconde dietro la sua diffusione che, specie negli ultimi anni, è dilagata per le città italiane.

Una storia millenaria
L’etimologia, innanzitutto. Kebab deriva dall’arabo kabāb, termine con cui oggi si indica in modo generico la carne arrostita. L’origine della parola è però antichissima. La forma più arcaica risale alla radice semitica kbb (vecchia di 5 mila anni) riconducibile al significato di “ardere”, “splendere”, “bruciare”. Una curiosità? La stessa radice, nelle lingue semitiche posteriori, ha contribuito alla formazione del termine “stella”, che in arabo si pronuncia kawkab e in ebraico kokhav.

Secondo le ricostruzioni storico-gastronomiche del Cambridge History of World Food, la nascita del Kebab è da attribuire ad un’esigenza di risparmio energetico. Essendo il Medio Oriente caratterizzato da una certa scarsità di combustibile per il fuoco, cucinare la carne in piccoli pezzi risultava assai più veloce e conveniente. È così che nacque il Shis Kebab (dal turco Shis, “spiedo”) antenato del nostro rotolone: un semplice spiedino di carne di montone marinato cotto sulla brace. La tradizione araba fa risalire la pratica al Medioevo: pare che alcuni cavalieri Persiani arrostissero carne di montone utilizzando le loro spade. Ma attestazioni più antiche si possono leggere nel testo dell’ Iliade e scavi archeologici hanno dimostrano che i Greci erano affezionati a questo tipo di cottura fin dal XVII secolo a.C.

La nascita del Döner
Se è facile provare l’antica origine del Kebab orizzontale è più difficile risalire a quella dello spiedone verticale: il Döner (che in turco significa “rotante”). Leggenda vuole che ad inventarlo sia stato Iskender Efendi, cuoco originario di Bursa, 200 km a sud di Istambul. Nelle sue memorie, Efendi ricorda come nel 1870 decise di cuocere la carne in verticale affinché il grasso, sciogliendosi dall’alto verso il basso, rendesse lo spiedino più morbido. Ancora oggi un particolare tipo di Kebab confezionato con salsa di pomodoro e burro fritto prende il suo nome. Ma il primo a commercializzare il Kebab come cibo da asporto fu l’immigrato turco Mehmet Aygun, nel 1971 a Berlino. Aygun, che possedeva il ristorante Hasir nel multietnico quartiere di Kreuzberg, divenne famoso per aver fuso la tradizione turca alla velocità del cibo preparato dai fast food. Altri sostengono che il primo a mettere il Kebab all’interno di una pita fu Kadir Nurman, gestore di un ristorante vicino alla stazione di Zoologischer Garten. Notando la gran fame degli operai che ogni giorno prendevano il treno, Nurman  decise di offrire loro uno spuntino calorico, facilmente trasportabile sul luogo di lavoro. A qualunque storia vogliate credere, l’era delDöner era appena incominciata.

Non fu facile traghettare il Kebab in terra teutonica. Il piatto era confinato ad unadimensione etnica e gli stessi kebabbari si rivolgevano quasi esclusivamente alla nutrita, ma limitata, popolazione tedesca di immigrazione turca. Fu probabilmente questo il segreto del suo successo. Piatto povero dal punto di vista economico ma ricco di gusto e apporto calorico, il Kebab divenne la più valida alternativa alle tradizionali catene di ristorazione fast food. Per farlo dovette però scendere a compromessi: l’originale montone con cui veniva preparato venne sostituito dalla carne di vitellopollo o tacchino, più tenere e adatte ad un palato occidentale. Restò tuttavia il fascino della cucina orientale, che, con il passare degli anni, veniva riscoperta e rivalutata.

Tutti i numeri del Kebab
Oggi il mercato del Kebab registra numeri impressionanti e si è dotato di unastruttura produttiva industriale che seleziona le carni, le pressa e le congela per spedirle anche a notevoli distanze. Secondo i dati dell’ Associazione dei produttori turchi di Döner, in Europa il rotolone grigliato genera ritorni economici per 5 miliardi di euro e dà lavoro a oltre 200 mila persone. Nella sola Germania, leader mondiale per produzione e commercializzazione, si confezionano 750 milioni di panini ogni anno e il settore vale qualcosa come 3,5 miliardi di euro, il 70% del mercato dell’Unione. Ogni giorno oltre 400 tonnellate di carne vengono confezionate e recapitate in tutta Europa. E in Italia? “Il mercato del Kebab è in fortissima espansione, ma è frammentato in una miriade di aziende personali, tanto che è difficile avere dati certi”, spiega Naser Ghazal, imprenditore di origine palestinese che nel 2001 in provincia di Treviso ha fondato Skk, il primo Kebab franchising della Penisola. “I kebabbari aprono e chiudono in continuazione perché è facile cominciare questa attività, ma difficile portarla avanti. Il futuro sarà dominato da catene medio-grandi che attorno al Kebab diversificano l’offerta”. E aggiunge: “La qualità sarà un altro dei fattori vincenti”.

Già. Perché se unanime è il successo commerciale, non tutti concordano sulle qualità alimentari di questo piatto mediorientale. Una delle poche indagini di carattere scientifico sul Döner risale ad una ricerca del 2009  condotta in Gran Bretagna dal Lacors, autorità locale che si occupa, fra le altre cose, di sicurezza alimentare. Dai dati raccolti su 500 campioni provenienti dai diversi stati della Union Jack, è risultato che i valori nutrizionali del rotolone di carne sono tutt’altro che equilibrati. Su una porzione media di 300 gr, l’apporto calorico di un Kebab è di circa 1000 kcal, pari al 50% della valore giornaliero raccomandato (Gda). E queste calorie sono mal distribuite: in media un panino farcito di Kebab fornisce l’89% della Gda di grassi (di cui il 148% di grassi saturi) e 98% della quantità di sale raccomandata. I dietisti inglesi hanno messo in luce che il vero problema del Kebab non è la sua pesantezza, quanto il fatto che sia considerato uno spuntino e venga spesso accompagnato da altri pasti durante l’arco della giornata. “È certamente un piatto sbilanciato su proteine e grassi, ma si tratta pur sempre di carne”, spiega la dietista Elisabetta Aloi, dell’ospedale San Lazzaro di Alba. “Sono le salse che aumentano le calorie in maniera esponenziale, specie quelle industriali a base di maionese, ricchissime di grassi dannosi per la salute”.

Igiene e sicurezza
Le salse sono sotto osservazione anche da parte di chi si occupa di sicurezza alimentare. “Può sembrare strano, ma il pericolo più grande del Kebab può derivare da una cattiva conservazione dei condimenti, precisa Piero Maimone, responsabile direttore medico per l’igiene degli Alimenti dell’Asl di Cuneo. “La carne è relativamente sicura e deve rispettare due parametri: temperatura e tempo”. Innanzitutto – spiega Maimone – la catena del freddo deve rimanere inalterata, -18 o dalla confezione al trasporto, dallo stoccaggio in magazzino allo spiedo arroventato. Una volta scongelato, il Kebab deve cuocere esternamente ad una temperatura di almeno 72 o, e dovrebbe essere consumato in giornata, per non consentire ad agenti patogeni di svilupparsi a temperatura ambiente: “Queste sono operazioni elementari, a cui ogni esercente è tenuto ad aderire e su cui i controlli sono più facili”, precisa Maimone. Le salse, spesso preparate in loco, sono ricche di acqua e proteine, veri e propri brodi di coltura batterica“Se contaminate da mani o utensili sporchi presentano un rischio maggiore, è qui che deve misurarsi la capacità dell’operatore ad offrire un prodotto sicuro”. Maimone invita però a non dare giudizi affrettati: “ Se un kebabbaro vi pare poco pulito, ciò non significa che sia pericoloso. Non è il fattore estetico che conta, ma la capacità di abbattere i rischi di contaminazione dove occorre farlo”.

Alla ricerca del Döner perfetto
Ma come si prepara un Döner con i fiocchi? Nella stragrande maggioranza dei casi, essendo la carne preparata a livello industriale, sono altri i fattori che contano: “Verdure freschissime, pane o pita cotta sul momento e cipolla di Tropea”: questo è il segreto di Fanon Magdy, che a Sesto San Giovanni confeziona un dei migliori Döner dell’hinterland di Milano. La città meneghina offre infatti un Kebab abbastanza standardizzato, con gusti omologati e poca fantasia. Le eccezioni esistono: in via Borsieri, Euro Doner Kebab utilizza una gustosa pita cotta sul momento, Indian’s Snacks di Via Pollaiuolo avvolge la carne in pane naan – tipico di India e Pakistan – farcito al formaggio e alcuni kebabbari come Mekan in viale Troya, Meydan di via Pergolesi e Grill Kebab in Via Imbonati, confezionano il loro rotolo in maniera artigianale, fetta dopo fetta.

La città più innovativa d’Italia in fatto di Kebab è tuttavia Torino. La capitale sabauda è un laboratorio di sperimentazione e ricerca dove il rotolo turco incontra le cucine di altri paesi, contaminandosi. Il re dei Kebab qui è Horas, nel cuore di San Salvario: piadine e panini fatti sul momento, ingredienti freschi e lo specialeKebab-Felafel con carne, polpette di ceci e mozzarella.
In alcuni negozietti di recente apertura, gestiti da africani, è possibile farcire il Kebab con ogni tipo di verdura, cruda o cotta: barbabietole, fagioli, mais, verza, cavolo rosso, carote e riso.
Uno degli esperimenti più particolari resta tuttavia il Kebabun (in piemontese «buon kebab») servito nei locali di Eataly. Inventato da Sergio Capaldo, titolare dell’azienda di carni La Granda con una passione per la gastronomia, è un Döner di sola razza piemontese, condito con sale integrale di Cervia e avvolto in una piada di grano romagnolo. “Quando ho tolto il coperchio al Kebab, mi sono accorto di cose che non mi piacevano”, racconta Capaldo. “La carne era prodotta in modo industriale, grassa, unita con collanti, il gusto alterato da una pesante marinatura speziata: tutto questo inganna il palato”. E conclude: “Volevo mantenere la tradizioni ottomane, ma riscoprirle attraverso la qualità delle carni piemontesi”. Esperimento riuscito? Non resta che operare un approfondito e gustosissimo confronto.

quì l’ articolo originale di Wired Italia

il Paça Turco ed il Beyin Kavurma – Zuppa di Testarella d’ Agnello

Ed eccoci finalmente ad avere un poco di tempo per commentare un nuovo piatto Turco gustato durante le ferie che non avevo ancora avuto modo di assaporare.

il Paça.

Questa saporitissima zuppa (çorba) è tipica del sud-est anatolico e si è perfezionata in quel di Gaziantep, grande città a 50 km dal confine con la Siria

molto rinomata per la sua cucina, le spezie ed i famosissimi pistacchi (il Baklava qui è nato ed è il re indiscusso di tutti i dolci tipici turchi e non solo).

Gli ingredienti sono molto semplici e fanno parte di quel, a noi familiare, quinto quarto dell’animale da macello: La testarella.

Ma la preparazione, se può sembrarlo, non è poi così semplice:

Si fanno bollire ad oltranza le teste pulite di cervello (che serve per un’altra pietanza squisita) e occhi fino ad ottenere uno stracotto (tipo la nostra coda alla vaccinara per intenderci)finche la carne tenerissima si distacchi dalle ossa.

Dopodiché questi “stracetti” vengono messi direttamente in un piatto di rame (Gaziantep è una città famosa anche per la lavorazione a mano del rame)

con le dovute spezie quali peperoncino, pepe nero, sale, salsa di peperone e altro con l’aggiunta di acqua di cottura delle stesse teste.

I piatti vengono immessi direttamente su fiamma a temperature altissime per portare la zuppa in ebollizione e far “tirare” la saletta formatasi.

Dopo soli 3 minuti la zuppa è pronta e, come un mastro fabbro, il cuoco la prende con le pinze e la serve su un sottopiatto (anch’esso di rame) direttamente al cameriere che, come un giocoliere lo serve al tavolo facendo in modo di non bruciarsi le mani.

Il cervello invece viene servito ripassato in un’altro piatto: il Beyin Kavurma (nella foto sottostante)

Se non mi credete leggete qui.Ma solo se parlate inglese!

 

Slow Food Lazio promuove i presidi a Eataly

A volte introvabili, incredibilmente buoni, i Presidi Slow Food rappresentano ”il buono, pulito e giusto” della nostra agricoltura e sono senza dubbio un’occasione per palato e mente, soprattutto se raccontati da chi li ha creati e da chi li produce. In Italia sono circa 200 e coinvolgono oltre 1600 tra contadini, pescatori, norcini, casari, fornai. Eataly, a Roma, a partire da domani 5 settembre ospitera’ per 17 settimane alcuni tra i protagonisti della produzione migliore d’Italia che, attraverso il racconto e l’assaggio offriranno a tutti coloro che parteciperanno agli incontri una piacevolissima occasione per conoscere la cultura, la tradizione, la memoria di alcuni dei migliori presidi d’Italia.

l’articolo completo su ANSA.it